PISCOPIO: CENNI SULLE ORIGINI E LA SUA STORIA raccolte da Antonio Salvatore La Bella - La frazione di Piscopio dista 2,44 km da Vibo Valentia. Sorge a 374 m dal livello del mare e conta circa 3.000 abitanti.
La zona presumibilmente abitata sin dall'epoca pre-ellenica dalla popolazione autoctona (Pelasgi, Enotri e Siculi) sparsa in diversi nuclei pastorali, vanta una indubbia posizione sin dall'insediamento delle prime colonie greche: Piscopio, nota con l'antico toponimo di "Episkopeion", ha da sempre rappresentato un importante crocevia di collegamento, un luogo di transito, di scambi commerciali e doganali tra l'antica Hipponion e le varie colonie Locresi le cui genti, attraverso la vallata del Mesima vi giungevano, provenienti dal "poroi" (valico) nei pressi dell'attuale Vazzano ed in epoca successiva dalle popolazioni dell'altopiano delle Serre.
Il significato stesso del toponimo "Episkopeion" denota la sua caratteristica: "vista dall'alto... osservare; guardarsi intorno... vedetta"; presumibilmente per la particolarità del sito, che offriva un'ampia panoramica della vallata del Mesima e del limitrofo arco montano comprendente l'altopiano delle Serre, e dal quale probabilmente, si poteva anche ammirare un antico tempio ellenico, pre-esistente all'attuale castello normanno-svevo. I richiami ellenici vengono rafforzati dalla presenza nell'area di vari oggetti o ruderi appartenenti a tale cultura. Particolare il "mosaico" rinvenuto in località "Piscino" ad opera di alcuni agricoltori del luogo, probabilmente parte di una "domus romana", riportante una scritta beneaugurante "Pax in introi tu tuo".
In seguito la denominazione fu cambiata in "Episcopio" probabilmente da "Episcopium, cioè città vescovile o palazzo del vescovo" o da "Episcopus, cioè ispettore di mercati o luogo dell'amministrazione vescovile". Ma già nell'antica Grecia gli Ispettori erano chiamati Episcopi, toponimi quindi, che richiamano sin dall'inizio l'attività principale del villaggio. Ruolo conservato nei secoli successivi, infatti tra il XVI e il XVII secolo, Piscopio è stata anche sede di ben tre sinodi vescovili: nel 1617, nel 1659 e nel 1698 (quattro se consideriamo anche il sinodo del 1690 tenuto nella Chiesa di Santa Maria della Sanità, ovvero Santa Ruba).
Nel Territorio, immerso in una vegetazione lussureggiante con uliveti e numerose varietà di alberi da frutto, sono presenti vari corsi d'acqua: i torrenti Patamò, Varelli e Lisarà, che richiamano il lessico greco (Potamos cioè fiume, Katarraktes... Katerre... Varelli cioè rapide, e Lisis cioè frana), intorno ai quali si sono originariamente insediati alcuni agglomerati indigeni. Relativamente a quest'ultima denominazione la leggenda vuole attribuire a Lisia una delle più famose sirene che col suo canto era al seguito del corteo di Persefone - per i Romani Proserpina -, l'origine del linguaggio particolarmente cadenzioso e melodico dei piscopisani). in seguito alle varie forme endemiche molto frequenti in quel periodo, la gente si spostò verso la parte alta della valle dando vita al quartiere che, dall'area della "Fontana Vecchia", si protende verso Vibo Valentia; fontana molto frequentata nel passato non solo per l'approvvigionamento dell'acqua con le tradizionali "gozze" ma anche dalle lavandaie, grazie alle numerose vasche presenti; fontana di recente ristrutturata ed abbellita con panchine e recinti a beneficio della popolazione. Successivamente, altro focolaio di sviluppo dell'abitato lo si ritrova nei pressi della "Fontana di Varej" dove prese forma il c.d. "Fundaco" cioè magazzino, dove anticamente venivano depositate le merci in attesa di trasporto e fungeva da posto di dogana per il pagamento del dazio.
Sin dall'epoca greca e per molti secoli la principale porta d'accesso per i viandanti provenienti dalle varie colonie (Locri, Squillace, Medma, ecc.) transitando attraverso la vallata del Mesima per accedere ad Hipponion, l'odierna Vibo Valentia, consisteva in una strada di terra battuta proveniente dal fondo valle, attraversava l'abitato di Piscopio e dall'antica Via Garciali si immetteva sulla c.d. "strada delle grotte" che portava alla chiesa bizantina di Santa Ruba e quindi a Vibo Valentia, passando nei pressi dell'antica fabbrica di mattoni conosciuta con il nome di "Ciaramidiu", oggi totalmente dismessa. Un percorso strategico quanto obbligato per i viaggiatori e mercanti fino alla meta dell'800, periodo intorno al quale divenne dominio dei vari briganti che si riparavano nei molteplici cunicoli e grotte preesistenti.
Si pensa che lo stesso Cicerone per i suoi viaggi da Hipponion (ove ogni tanto dimorava)verso Squillace, ebbe a passare da Piscopio; così come San Bruno nei suoi viaggi per incontrare l'amico Ruggero il normanno; percorso
obbligato riportato in varie cartografie del XVIII-XVIII secolo, fu usato anche da Ferdinando il Borbone nei suoi viaggi per le Ferriere Reali di Mongiana.
Il paese nel corso dei secoli fu più volte raso al suolo dai frequenti movimenti tellurici che ne decimarono la popolazione (terremoti del 5/11/1659 - 5/2/1783 - 8/9/1905 e 28/12/1908) e seppe affrontare una ricostruzione lenta ma costante. A seguito del disastroso terremoto del 1905, a Piscopio ci fu la visita del Re Vittorio Emanuele III che volle constatare di persona i danni prodotti dal violento sisma.
Con regio decreto del 29/10/1808 veniva riconosciuto Comune della Calabria Ulteriore e veniva istituito dal 1810 lo stato civile (incombenza prima affidata alla Parrocchia di San Michele Arcangelo) e dopo circa 129 anni di autonomia veniva soppresso ed aggregato a Vibo Valentia con regio decreto del 8/4/1937.
A Piscopio sono presenti due edifici di culto: la Chiesa di San Nicola edificata intorno al 1608 e poi distrutta dai terremoti del 1905 e del 1908, mai più recuperata e successivamente sconsacrata; e la Chiesa di San Michele Arcangelo, il Patrono di Piscopio, il cui edificio è stato più volte distrutto e poi ricostruito. Infatti, alla prima chiesa distrutta dal terremoto del 1783 che arrivava a coprire l'attuale piazzale gradinato ed era ornato da una serie di statue esterne, seguì un edificio più piccolo lesionato nel terremoto del 1905 e poi distrutto nel terremoto del 1908 (della quale esistono ancor'oggi delle foto), al quale seguì l'attuale Chiesa di S. Michele Arcangelo, costruita negli anni '20, nella quale confluirono alcune statue e beni della Chiesa di San Nicola ormai sconsacrata. Nelle vicinanze della "Fontana Vecchia" rimane traccia della Chiesetta della Madonna di Fadecuni, così detta per via di una vecchia statua lignea che la raffigurava. Nei pressi della "strada delle grotte" fu edificata, intorno all'anno mille, la Chiesa Bizantina dei frati Basiliani Santa Ruba, oggi restaurata e meta di pellegrinaggio.
Piscopio era conosciuto anche per i numerosi mulini ad acqua presenti nella zona sulle rive di ambedue i torrenti che ne delimitano il territorio, il Varelli ed il Patamò. Molto bello ed unico nel suo genere è il complesso sorto lungo il corso del Patamò, nei pressi della Fontana Vecchia, formato da un grande mulino ad acqua disposto su tre piani e da una grande macchina olearia sempre ad acqua, che funzionavano grazie ad un elaborato sistema di ruote verticali ed orizzontali e dove vi lavoravano e dormivano circa quaranta persone fino agli anni '50.
Un tempo Piscopio era ricco di usanze ormai diradatesi; dagli anni '60 in poi ebbero vita diversi circoli, associazioni culturali e società sportive, che ebbero l'apice tra gli anni 1980-90. Nel corso degli ultimi quindici anni è nata dalla volontà popolare la "Sagra dell'Ortu" portata avanti per numerose edizioni, divenendo nota nell'intero hinterland vibonese e che ha accompagnato, nel periodo, l'altro grande evento da sempre organizzato a Piscopio e cioè la festa in onore del Patrono San Michele Arcangelo, particolarmente sentita con festeggiamenti che si protraevano per un'intera settimana. Attualmente, unico evento di rilievo è rappresentato dall'organizzazione annuale del "Presepe Vivente" giunto alla seconda edizione.
Il Paese, oggi sede di Scuola Materna, Elementare e Media, conserva ancora, fra gli altri, i Palazzi: "Citanna" oggi abbandonato; "Morelli" utilizzato anche come sede di un vecchio mulino elettrico, ancora funzionante alla fine degli anni '50; "Rodinò" e "Lazzaro" tutt'ora abitati dalle famiglie La Bella e Lazzaro; "Capialbi" totalmente ristrutturato. Da ricordare il vecchio Municipio con l'annessa villetta sede del Monumento ai Caduti, anch'esso oggi totalmente ristrutturato e sede, nel corso degli anni, della scuola locale, poi della circoscrizione e dell'ufficio del delegato comunale di Vibo Valentia, nonché del circolo degli anziani. Nel 2009 è stato inaugurato, dopo un'attesa di vari decenni, l'agognato campo sportivo costruito secondo quanto previsto dalle più recenti normative.